Sarajevo, Kiev, Ventotene.

Per ragioni anagrafiche ricordo con particolare orrore alcune immagini delle guerre jugoslave trasmesse in tv. Non comprendevo a dieci o undici anni gli aspetti della guerra ma per chi è nato all’inizio degli anni Ottanta la guerra in Kuwait e la guerra in Jugoslavia sono state le prime impressioni di quello che si intende per “conflitto armato”. Decenni dopo, nel periodo degli studi universitari, ho letto il libro di Joze Pirjevec “Le guerre jugoslave 1991-1999” e sono rimasto folgorato da un passaggio che vi riporto ( pag.35 ):

 “Signori miei,  in Europa non c’è più spazio per nuovi Stati e voi sicuramente non volete trasferirvi in un altro continente” 

Queste parole così profetiche erano rivolte da Gianni De Michelis, ministro degli Esteri italiano, nella primavera 1991, ai suoi interlocutori sloveni.

Pirjevec le riporta per far capire come si muovevano i vari attori internazionali allo scoppio della guerra: in sintesi possiamo dire che l’Europa non si mosse né in maniera tempestiva né in maniera corale e che diversi furono gli errori diplomatici nell’analisi della situazione jugoslava.

Adesso sono passati trent’anni e una nuova guerra è alle porte e ripenso a De Michelis, ai ministri degli Esteri, alla brillantina, alla discoteca e al fatto che per evitare le guerre e gli orrori servirebbe una classe politica europea capace, competente, preparata.

E dovrebbe rinascere quella visione politica di un’Europa unita, antimilitarista, multiculturale: Capitini, Spinelli, Rossi, il manifesto di Ventotene.

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